Il manifesto cafone ovvero essere grafici al tempo di De Luca

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Da sindaco aveva teorizzato la dottrina del “cafone zero”, per mettere alla berlina nella sua Salerno quei cittadini che non rispettavano le regole elementari del decoro urbano. Da governatore della Campania, invece, l’essere cafone si trasforma da vizio a virtù, almeno nel campo della comunicazione.

“Ho teorizzato – ha detto Vincenzo De Luca ieri ai giornalisti che gli chiedevano la sua opinione sulla campagna di Gaetano Manfredi – che il manifesto efficace dev’essere un manifesto cafone. Voi sapete che i grafici sono nove volte su dieci degli artisti che però non partono dalla domanda fondamentale: il manifesto a che serve? Serve ad essere letto. Se tu mi fai una grafica per la quale le scritte sono una sull’altra, non distanziate, a un metro di distanza non leggi niente”.

Eppure, in questo richiamo alla semplificazione estrema, De Luca contraddice sé stesso e la sua trentennale lotta al cafonismo. Perché, pur se il suo richiamo alla regola del less is more è fondato, dimentica che la comunicazione, e di conseguenza la grafica in quanto sintesi di una pluralità di elementi che compongono il messaggio, ha comunque un valore in-formativo sul pubblico al quale si rivolge. Al contrario, se la comunicazione diventa solo e sempre una riduzione all’essenzialità dei contenuti, questa smarrisce la sua carica educativa, di sensi e di valori. Se la comunicazione per essere efficace deve essere necessariamente cafona, significa che è destinata a un pubblico in maggioranza di persone rozze, che non badano al bello, che non hanno e non vogliono avere attenzione alla forma, che si fermano alla lettura superficiale di un contenuto. Quindi, a cosa serve condannare usi e abitudini incivili, se poi, ogni mio messaggio è costruito non per far pensare, per spingere il destinatario a riflettere, ma solo per informare senza un coinvolgimento?

Il j’accuse deluchiano, per quanto contraddittorio, non è affatto nuovo. Solo qualche mese fa, infatti, in uno dei suoi video – editti del venerdì pomeriggio si era scagliato nuovamente contro i grafici e i creativi. Questa volta per censurare quelli che avevano progettato il manifesto del Festival della Letteratura di Salerno: “è un manifesto il cui creatore meriterebbe due anni di carcere”

Quella del grafico non è mai stata una professione pienamente apprezzata e valorizzata in Italia. Vuoi perché in parte coincide con quella dell’impaginatore, vuoi altresì, perché la categoria, a differenza di altre professioni libere, non ha mai avuto un suo Albo. L’assenza di una corporazione di auto-governo, cosa di per sé non insana, ha contributo a celare e svilire nell’immaginario comune le necessarie competenze e quella dote di esperienza che questo mestiere richiede a chiunque voglia praticarlo.

Poi se accanto ai singoli clienti, che si vestono da art director della domenica per invocare e imporre le modifiche più assurde a un progetto, il grafico deve pur fare i conti le reprimende delegittimanti del Presidente della Regione Campania, che, come ha ricordato ai giornalisti, per i suoi manifesti fa sempre tutto da solo, allora questo mestiere diventa veramente un esercizio di frustrazione e nulla più.

D’altro canto, come dimenticare i manifesti fatti affiggere nel 2001 da De Luca a Salerno nella campagna elettorale per l’elezione del sindaco. A contendersi la fascia tricolore c’erano l’ex capo staff di De Luca, Mario De Biase, e Aniello Salzano, del centrodestra, e sui manifesti c’era semplicemente scritto “Per votare De Luca, vota De Biase”!

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