Cosa ci insegnano i casi La Regina, Scarpa, Sarracino

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Con le liste oramai consegnate e la campagna elettorale ufficialmente partita, credo sia opportuno abbozzare una breve riflessione, a futura memoria, su cosa ci hanno lasciato in dote i diversi casi dei candidati impalmati e detronizzati, leggi Raffaele La Regina in Basilicata e Wladimiro De Angelis nel Lazio, o di quelli designati, ma che poi si sono salvati per il rotto della cuffia, come Rachele Scarpa a Treviso e Marco Sarracino a Napoli.

Tutti, seppur ciascuno con la propria specificità, hanno dovuto d’improvviso fare i conti con le rispettive identità digitali e pagarne pegno per l’inevitabile conflitto che si è generato nel confronto con l’identità naturale.

Uno scontro che si è consuma ogni qualvolta dimentichiamo quanto la dimensione virtuale e quella reale, nelle quali siamo tutti immersi, determinano le nostre personalità e, prim’ancora, definiscono la percezione che gli altri hanno di noi.

Questi due mondi non possono e non devono essere mai visti come sfere separate, ma al contrario, sono parti di un’identità unica e unitaria, che può avere tante diverse sfaccettature.

Se dimentichiamo questa banalissima considerazione, rischiamo di rimetterci la candidatura, come è successo al giovane Raffaele La Regina, o, come è capitato a tanti altri in questi anni, il posto di lavoro, una fidanzata, un incarico di rappresentanza, l’ammissione in un circolo o a un corso post-universitario.

L’investimento a “brevissimo termine” che ci spinge a postare e condividere compulsivamente selfie, stati d’animo e video può rivelarsi nel medio e lungo termine un investimento non solo infruttuoso, ma decisamente deleterio per il nostro futuro.

Partendo da questa premessa, è opportuno chiedersi cosa ci hanno insegnato i diversi casi dei candidati dem costretti a fare un passo indietro, rinnegare pubblicamente le loro idee, scusarsi o cancellare anni e anni di post?

  1. La nostra identità digitale, a dispetto di quella fisica, è comodamente, immediatamente e velocemente accessibile a tutti.
  2. L’accesso all’identità digitale, aspetto che molto spesso tralasciamo, è tecnicamente sine die, per sempre, perché non è affatto semplice cancellare tutte le nostre tracce digitali.
  3. La nostra identità digitale rimane fragile perché manipolabile da chiunque e questa condizione la rende, di converso, un’identità terribilmente metamorfica;
  4. L’identità digitale per queste specifiche caratteristiche ha l’attitudine a soverchiare la nostra identità naturale.
  5. I confini tra ciò che diventiamo in Rete e ciò che siamo in piazza sono talmente deboli che il conflitto tra le nostre identità ci attende dietro l’angolo.
  6. Il conflitto è ineludibile a partire dalla constatazione che l’identità digitale essendo mediata dall’onotologia del mezzo (è sufficiente pensare solo alla costruzione dei 280 caratteri imposti da Twitter o dall’impossibilità di modificare un testo) e dal medium in quanto tale, è comunque una riduzione della complessità. Nella ricerca di comprimere il ragionamento si annida una fisiologica a-comprensione del contenuto.

Se proviamo a tenere a mente queste direttrici di comportamento, ogni qualvolta il nostro desiderio di investimento a brevissimo tempo ci invoglia a postare e condividere un pensiero emotivo, allora, sarà più semplice incrociare i guantoni per respingere nell’oblio l’identità digitale che rimane o appare più cattiva dell’identità fisica.

Foto: lanotiziagiornale.it

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