Palle e coglioni, lo sdoganamento dei genitali nella politica al tempo dei social

1988

Con l’avvento della Terza Repubblica abbiamo definitivamente sdoganato la semantica dei genitali e considerato che, soprattutto in Italia, la politica si coniuga al maschile, ecco l’esplosione negli ultimi di molteplici rotture di palle e coglioni.

Ciò che fino a qualche anno fa era impensabile e impossibile che entrasse nel linguaggio istituzionale e politico, oggi, diventa un lessico senza il quale, al contrario, si rischia addirittura l’emarginazione dal dibattito pubblico, un’auto-esclusione o, per restare in tema, un’auto-castrazione. Tanto che virilità simbolica dei genitali è traslata, con un nesso di proporzionalità diretta, nella percezione di credibilità che il pubblico nutre nei propri rappresentanti.

Ieri, ultimo in ordine di tempo, è stato il battitore libero del M5S, Alessandro Di Battista, che a proposito di TAV, ha chiesto ausilio ai genitali per dare immediatezza e consistenza al suo pensiero: “se la Lega intende andare avanti su un buco inutile che costa 20 miliardi e non serve a niente – ha tuonato – tornasse da Berlusconi e non rompesse i coglioni, chiaro?”.

Eppure, prima del DiBa, però, i due massimi cantori dell’emancipazione linguistica delle parti intime sono stati il fondatore del M5S, BeppeGrillo, e il Capitano MatteoSalvini. Il secondo, già nel 2016, nel rivolgersi alla CEI e a Monsignor Galatino che aveva espresso delle perplessità sulle politiche dell’immigrazione targate Lega Nord aveva intimato: “i vescovi non rompano le palle ai sindaci”[1]

Mentre, il primo, anche per la sua permanenza storica nei marosi della dissacrazione verbale, ci ha messo un secondo a passare dal vaffanculo alle palle, tant’è nel “lontano” 2012 poteva impunemente sbottare contro chi manifestava qualche, fondato, dubbio sulla democrazia interna al Movimento: “chi pensa che io non sia democratico, vada fuori dalle palle!”[2]

Lo sdoganamento nel frasario politico nazionale dell’apparato genitale maschile nella sua costituzione integrale, accanto a palle e coglioni ci sono state anche apparizione di cazzi, come nel 2004, con @SilvioBerlusconi che sbottò con Luca Volonté dell’Udc: «voi ex democristiani mi avete rotto il cazzo, me lo hai rotto tu e il tuo segretario Follini. Basta con la vecchia politica”[3], ha trovato nell’esplosione dei social un’accelerazione e legittimazione.

L’evoluzione, per altri l’involuzione, del linguaggio della politica verso forme e contenuti non convenzionali, che aggiornano in profondità le soglie del comune senso del pudore, riflette la mutazione genetica dei costumi indotta in massima parte dall’esplosione dei social network, intesa come principale comunità di auto-condivisione delle opinioni, da quelle più strutturate a quelle, che sono la maggioranza, crude e grezze.

L’ultimo report #Digital2019[4], giunto all’ottava edizione e redatta da @Wearesocial in collaborazione con @Hootsuite, ci conferma che “sono 35 milioni gli italiani attivi giornalmente sulle piattaforme social, di cui 31 milioni da mobile. Il tempo speso su base quotidiana è di poco inferiore alle 2 ore. @Youtube e @Facebook continuano a dominare il panorama delle piattaforme social più utilizzate nel nostro Paese”.

L’ampiezza, oltremodo crescente, di questi numeri e il postulato della liberazione per mano dei social della pudicizia, se da un lato, ci aiuta a ridurre lo stupore per il prosciugamento del senso di volgarità di alcuni vocaboli, dall’altro, ci deve far prendere coscienza che le parole hanno comunque una forza e una violenza intrinseche che non può essere manipolata all’infinito senza subirne o pagarne le conseguenze.

[1] https://www.globalist.it/politics/2016/05/08/salvini-i-vescovi-non-rompano-le-palle-ai-sindaci-77448.html

[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/11/grillo-sul-m5s-chi-pensa-che-non-sia-democratico-fuori-dalle-palle/442736/

[3] https://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/04_Aprile/05/stella.shtml

[4] https://digitalreport.wearesocial.com/

foto: www.ilfattonisseno.it

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